Un’umanità capitalizzata: la formazione delle risorse umane

di Jacques Guigou

Traduttore : Riccardo d'Este

articolo estratto da : Squadernare la Scuola, Torino, Quattrocentoquindici, 1995.

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I. Già nel 1776, un certo Signor Smith…

Il riconoscimento dell'influenza della formazione della forza lavoro nella valorizzazione del capitale viene affermata già agli albori dell'economia politica. Adam Smith considera l'istruzione come un investimento nel calcolo dell'homo oeconomicus. Puntando sullo sviluppo intensivo ed estensivo delle forze produttive per accelerare la contraddizione capitale/lavoro, i marxismi — dimenticando o ignorando che Marx riteneva che l'espansione irrazionale ed esponenziale di queste forze avrebbe trovato il suo limite nella natura umana, di certo trasformata, ma non annientata, dal soggetto storico della rivoluzione — si sono aspettati anche loro importanti risultati dalla formazione tecnica e professionale del lavoratore, ritenendola inglobata e sovramoltiplicata dall'aumento della qualificazione collettiva della classe operaia.

Tuttavia, è solamente verso la metà del xx secolo che appaiono le condizioni storiche che permettono l'emergere di un'economia dell'educazione. Con le sue nozioni di capitale umano, il calcolo della redditività dell'investimento educativo tanto per l'individuo quanto per l'impresa, l'azienda o lo Stato, la sua ratio tempo di lavoro/tempo di formazione, l'economia dell'educazione tenta di razionalizzare la capitalizzazione della natura propria dell'uomo. Le nozioni di risorse umane e di investimenti nell'intelligenza, già virtualmente definite da G.S. Becker e dalla Scuola microeconomica di Chicago, saranno diffuse e rese operative come ideologia unificatrice soltanto dopo il riflusso del movimento del Maggio Sessantotto. Quali sono dunque queste condizioni storiche che hanno portato le risorse umane sulle fonti battesimali della società dell'individuo democratico?

II. Particelle in formazione

11.1. Interiorizzazione della classe del lavoro

Fintantoché la realizzazione del profitto continuava a dipendere dalla valorizzazione delle risorse naturali attraverso lo sfruttamento della forza lavoro, l'educazione rimaneva, per il capitale, una spesa. Una spesa, certo socialmente necessaria, ma una spesa ampiamente improduttiva. Questa situazione tipica del capitalismo industriale del xix secolo si perpetua fino alla Seconda guerra mondiale. Inoltre, sinché la composizione del capitale variabile non comporta che una parte modesta di capacità cognitive, la Scuola di classe riesce a fornire all'economia, nonostante considerevoli contraddizioni, gli ingegneri e gli operai di cui necessita. Il lavoro vivo è ancora consustanziale alla produzione. Ma, con la sconfitta del movimento proletario nell'Europa degli anni Venti, il dominio effettivo del capitale su tutta la società si generalizza. Un numero sempre maggiore di attività umane, che fino ad allora sfuggivano al dispotismo del mercato, vengono inglobate nel processo di valorizzazione. Da quel momento la classe del lavoro, che all'origine era stata posta all'esterno della società borghese, e che conservava nelle sue lotte il modo di esistenza comunitaria ereditato dal suo passato contadino, non può più esistere come classe negativa. Il lavoro morto ha così sussunto il lavoro vivo. Dopo la Seconda guerra mondiale, quella che è stata chiamata società dei consumi esprime questo spostamento del movimento del valore. Produzione di merci e riproduzione dei rapporti sociali si possono affrancare dalla loro determinazione per mezzo del tempo necessario alla trasformazione in plusvalore delle risorse naturali. L'annientamento delle risorse della prima natura ha condotto il capitale mondializzatosi a secernere una seconda natura che artificializza la biosfera e che, dopo il Maggio Sessantotto, in due decenni, porta a compimento un ciclo di autonomizzazione della specie umana con il suo biotopo naturale. Oggi, con i mondi virtuali, una terza natura si viene edificando a grandissima velocità, in una società che scommette sulla catastrofe dominata.

11.2. Particolarizzazione del rapporto sociale

Mano a mano che si esaurisce la funzione politica dei gauchisme (classismo, proletarismo, autonomismo) nella ricomposizione della società democratista degli ultimi due decenni, i movimenti rivoluzionari mondiali della fine degli anni Sessanta si confermano come un momento storico doppiamente determinante. Determinante come chiusura del ciclo delle rivoluzioni proletarie e determinante come apertura di un ciclo di rivoluzione a titolo della comunità umana della specie che si nega.

Per tentare di capire il senso del passaggio dall'era della forza lavoro a quella delle “risorse umane”, dobbiamo cogliere tutte le dimensioni dell'interiorizzazione dell'ex classe del lavoro nella società del capitale-rappresentato1.

Fintantoché il proletariato ha svolto il suo ruolo di classe negativa, che il rapporto sociale di produzione e di riproduzione è rimasto essenzialmente fondato sull'estorsione del plusvalore sulla forza lavoro delle donne e degli uomini di questa classe, l'individualizzazione non ha potuto operare che nella borghesia. Solo il borghese, cioè il proprietario dei mezzi di produzione, ha potuto pretendere un'esistenza sociale autonoma: un'esistenza autonoma come agente economico — l'imprenditore — ma dipendente dalla sua classe come individuo sociale. Così, la moglie del borghese, la sua amante, i suoi figli, i suoi domestici, i suoi salariati, non erano individui, non possedendo alcun capitale. Questo regno, si sa, terminerà nella guerra tra i capitalismi nazionali, guerra che fu anche la sconfitta del movimento internazionalista proletario e che genererà la ricomposizione interclassista del capitale. Con la Prima guerra mondiale, infatti, scompare la classe dei proprietari, quella del capitalismo patrimoniale, mentre si afferma il capitalismo d'impresa, nuova forma di valorizzazione in cui l'individuo andrà perdendo tutto ciò che costituiva il suo contenuto storico.

L'individuo, anch'esso diviso, diventerà particella di capitale. Si può situare allora l'emergere di quella che tenderà a diventare la dinamica centrale delle principali ricomposizioni del capitalismo nel xx secolo. Già all'opera nel periodo fra le due guerre, costitutiva dei populismi nazional-socialisti e fascisti, la particolarizzazione del rapporto sociale si realizza dapprima nelle diverse configurazioni nazionali della collaborazione di classe, poi, dopo il 1968, il riflusso dell'ultima discontinuità con il movimento del valore permetterà il dispotismo della società delle particelle di capitale.

L'autonomizzazione delle vecchie appartenenze di classe sotto la guida del capitale ha oggi percorso tutto il suo ciclo storico ed è all'interno degli esseri umani che persegue, a tappe forzate, la sua attività nichilista.

11.3. Morte potenziale del capitale?

Ormai quasi totalmente liberato dai vincoli del vecchio tempo di lavoro produttivo e dalla materialità della seconda natura (quella che è nata con la macchina a vapore e di cui si potrebbe vedere il compimento nel passaggio dal calcolo analogico al calcolo numerico), il capitale ha penetrato e conquistato tutte le rappresentazioni della specie. Questo processo di artificializzazione oggi non richiede più mediazioni, ma un'attualizzazione permanente e universale. Nella terza natura dell'astrattizzazione dei mondi virtuali, dei flussi di capitale e di mercati “in tempo reale”, il capitale si trova in condizione di morte potenziale, di perdita irrimediabile di tutto ciò che rappresentava il suo contenuto storico, la sua sostanza dialettica. Il virtuale annienta il passato e il futuro. “Il virtuale ha bisogno dell'attuale”, dichiara trionfalmente un ricercatore recentemente invitato ad una trasmissione radiofonica sulle “realtà virtuali”. In effetti, il virtuale non sopporta lo scorrere del tempo; gli occorre un'immediatezza inscritta, sul momento, in un presente eterno.

III. La presentificazione delle “risorse umane”

Se si riconduce la genesi sociale del concetto di capitale umano alle condizioni storiche che abbiamo ora abbozzato, si possono interpretare i risultati ideologici dell'economia dell'educazione come uno sbocco trovato per i vicoli ciechi della teoria classica del valore-lavoro — compresa quindi quella di Marx —. G.S. Becker, premio Nobel per l'economia nel 1992, uno dei maggiori rappresentanti della dottrina del capitale umano, descrive con chiarezza la consacrazione mondiale della fine della contraddizione capitale/lavoro.

Per gli economisti classici e per Marx — i primi legittimandolo, il secondo criticandolo —, il produttore astratto e autonomo del diritto borghese vende la sua forza lavoro, ma conserva il suo essere sociale. Questo, certo, è alienato, e come tale è incorporato nel processo di produzione durante il suo tempo di lavoro (è il “lavoratore collettivo” definito da Marx), ma resta esterno alla comunità-proprietà del capitale. Lo sfruttamento della forza di lavoro nella realizzazione del plusvalore implica l'esteriorità necessaria della classe del lavoro. In compenso, gli economisti del capitale umano stabiliscono il loro nuovo concetto come un capitale incorporato all'individuo, come facente parte di tutta la sua esistenza oggettiva e soggettiva. E' in quanto essere umano che l'individuo-capitale-umano investe razionalmente tutte le sue risorse sul mercato. Notiamo qui fino a che punto questa teoria sia contemporanea all'interiorizzazione della classe del lavoro da parte del capitale: niente altro che la sua fedelissima espressione ideologica.

Le critiche che gli economisti marxisti postsessantotteschi hanno rivolto alla teoria del capitale umano hanno analizzato bene la finzione rappresentata dal calcolo individuale dell'investimento educativo, o anche l'errore di assimilare un salariato ad un capitalista, dimenticando che il rapporto salariale (che per essi fonda ancora la contraddizione del capitale), li rende irriducibili l'uno all'altro. Per questi autori, la riproduzione del rapporto sociale capitalista implica l'esteriorità della forza lavoro nel processo di produzione. La Scuola e la formazione rappresentano dei costi improduttivi, ma necessari al controllo del lavoratore collettivo e alla perpetuazione del rapporto salariale.

Ma questa critica arriva troppo tardi! Il capitale l'ha assorbita. Quello che ha rappresentato la forza teorica delle tesi di alcuni economisti marxisti della scuola borghese nella società di classe, diventa la loro debolezza nell'attuale società delle particelle di capitale, in cui la vecchia lotta di classe non ha più corso. L'esteriorità della forza lavoro su cui fondano il presupposto centrale della loro teoria è stata interiorizzata e, ciò facendo, ha cambiato contenuto. Nell'istituzionalizzazione dell'impossibile rivoluzione proletaria del 1968, il lavoro è stato desostanzializzato. Con l'instaurarsi della terza natura, quella in cui la principale risorsa da mettere in valore è la “risorsa umana” estratta dall'homo sapiens sapiens, il capitale porta a compimento la soppressione del lavoro, generalizzando la sua negazione (si vedano i licenziamenti) a tutta la sfera del vecchio lavoro improduttivo e delle attività che derivavano dalla riproduzione del rapporto sociale dominante. Divenute ormai fonte principale di plusvalore, tutte le attività umane devono essere autonomizzate dalle vecchie forme del lavoro produttivo, per poterle immediatamente capitalizzare. Da rapporto sociale fondato sullo sfruttamento della forza lavoro, il capitale è diventato valore in processo che incorpora a sé la specie.

La professionalizzazione accelerata e universale di tutte le attività umane consente di conservare la vecchia rappresentazione del lavoro produttivo e così di autonomizzare, per capitalizzarle, tutte le competenze e le qualificazioni da creare sul mercato, illimitato, delle risorse umane. “Qualsiasi cosa tu faccia, devi farla da professionista!”, questo è il motto della particella di capitale.

L'unità contraddittoria della società divisa in due classi, di cui una era portatrice del divenire umano dell'umanità, si sposta nella comunità della specie: separando le “risorse umane” dalla specie umana, il capitale pone le condizioni di un divenire-altro dell'umanità.

In tal modo, tutte le possibilità storiche di realizzazione dell'umano — questo ritorno di tutti nell'opera e dell'opera in tutti, secondo il canto di Saint John Perse — contenute dalla negazione del lavoro da parte del proletariato che si nega, sono state riassorbite nell'attivazione delle “risorse umane” rese attuali. L'antropomorfosi del capitale implica questa presentificazione dell'attività umana.

IV. La formazione, questo istantaneo…

Nella società delle particelle di capitale, nella realizzazione e nella valorizzazione della terza natura, l'educazione scompare. L'ultima mediazione che essa ha operato nel campo storico-sociale di quel che è stata la scuola di classe, è stata quella della formazione continua. Contribuendo a rendere individuali le resistenze e le solidarietà di quella che era ancora la comunità educativa del proletariato (la sua autoprassi), la formazione continua, istituita come diritto individuale ad un tempo di formazione sul contratto di lavoro, ha legittimato “democraticamente” il passaggio dall'educazione-spesa alla formazione-investimento. Liquidando la vecchia educazione repubblicana che socializzava l'ingresso del bambino nella vita e dell'adulto sul mercato del lavoro nelle condizioni della loro classe sociale, il sistema di formazione professionale continua, dopo il '68, ha permesso la trasformazione dell'educazione in “investimento nell'intelligenza incorporata nell'umano”.

Osservando questa dinamica di valorizzazione delle “risorse umane” che si va affermando oggi, si capisce perché il sistema di educazione e di formazione venuto fuori dalla società di classe, nonostante i suoi trent'anni di “democratizzazione” e i suoi quasi vent'anni di “individualizzazione degli apprendimenti e di autonomizzazione degli apprendisti” costituisce, agli occhi dei modernisti, un freno intollerabile all'emancipazione delle “risorse umane”. Anche riformato dalle sue pedagogie per obiettivi, le sue valutazioni-regolazioni, i suoi dispositivi di autoapprendimento, anche assistito dai suoi sistemi-esperti, dai suoi metodi didattici informatizzati, dalle sue simulazioni, anche decentralizzato, deconcentrato, decategorizzato e riorganizzato in gangs, bande e mafie, il sistema di formazione resta ancora troppo mediatizzante. Le vecchie gerarchie del diploma ed i suoi redditi di posizione, le vecchie burocrazie e le sue caste resistono ancora troppo all'affrancamento generalizzato delle “risorse umane”!

In quanto istituzionalizzazione della critica gauchiste delle burocrazie educative che il movimento del Maggio '68 aveva realizzato, i sistemi di formazione per unità di valore capitalizzabili inciampavano ancora sui resti della barriera della determinazione corporativa e classista delle conoscenze e delle competenze. Un secolo di Scuola di classe non aveva completamente abolito la definizione ed il controllo dei saperi e dei know-how da parte delle vecchie comunità — per lo più medioevali — che le avevano generate. Sicché, nella storia di un sapere dominato dall'aristocrazia, poi dalla borghesia, le università di medicina funzionavano ancora troppo sul modello delle scuole di medicina feudale, create e controllate dalla comunità dei maestri-medici, con il suo ordine, la sua gerarchia, e il suo monopolio del sapere a poco a poco strappato alla Chiesa. Allo stesso modo, nella storia di un sapere legato all'esperienza delle corporazioni di artigiani, poi di quella dell'organizzazione operaia, le formazioni tecniche e gli apprendimenti professionali restavano ancora troppo dipendenti dalle comunità operaie e dalle loro tradizioni in materia di trasmissione delle conoscenze. Con l'instaurazione tecnoscientifica della terza natura, con l'istituzione della società del capitale-rappresentato e delle sue particelle, la “gestione delle conoscenze e dei loro apprendimenti” può essere affidata ad un mega mercato informatizzato, sul quale degli “individui cognitivi” scambieranno le loro risorse umane. Già le “reti interattive di scambio dei saperi” che si sviluppano massivamente e che aspettano le loro “autostrade dell'informazione” per moltiplicare all'infinito la loro potenza immediatista realizzano l'ideale nichilista di una formazione affrancata dall'esperienza umana del tempo. Così, l'autonomizzazione delle conoscenze, per via della loro vecchia materializzazione in una forza di lavoro, permette la loro ricomposizione in un sistema di identificazione nelle costruzioni di immagini virtuali.

V. Desocializzazione immediata per tutti

Come segnare la tappa presente del nostro tentativo teorico per una critica della società del capitale-rappresentato? Affrontata questa volta sotto l'angolo della valorizzazione delle risorse umane, abbiamo tentato di comprendere il processo storico che realizza il passaggio dall'educazione-spesa alla formazione-investimento.

Lungi dall'essere compiuto, questo processo contiene una potenza di dissociazione sociale carica di conseguenze per gli esseri umani presenti: esso separa e dissolve la socializzazione e l'educazione. Finora sempre riuniti in tutte le società umane, i modi di socializzazione e le pratiche di educazione derivavano da un solo e da uno stesso momento antropologico, quello del tempo degli ingressi nella vita. Iscritto nella diversità delle comunità umane, l'ingresso nella vita si realizzava socialmente in una temporalità soggettiva e oggettiva fatta di filiazione, di trasmissione e di mediazione fra le generazioni. La memoria del passato e la rappresentazione dell'avvenire prendevano senso e davano una presenza al tempo presente. La vita immediata traeva la sua sostanza dalla ricchezza delle mediazioni storiche e delle loro contraddizioni, nell'orientamento verso un divenire-altro dell'umanità.

La socializzazione senza comunità né società altra che quelle della combinatoria planetaria delle particelle di capitale ha come religione quella dell'istante del telecomando: quella che spinge i demo-integralisti di tutte le reti ad aggregarsi e disaggregarsi subito, una volta realizzato il colpo, il commando, il racket, l'intervento, il giro, lo spettacolo…

La desocializzazione permanente e generalizzata realizzata dall'istituzione della libertà delle “risorse umane” implica una devitalizzazione del rapporto sociale e una detemporalizzazione degli apprendimenti di tutte le attività umane valorizzabili. Nel mondo delle particelle di capitale, sul pianeta della terza natura, socializzazione ed educazione devono dividersi e scomparire per lasciare il posto al tempo annientato dalla “risorsa umana” in formazione.

 

Note

1 – Con questi termini indichiamo il processo secondo il quale, nella sua dinamica di capitalizzazione di pressoché tutte le attività umane, il capitale dissolve le rappresentazioni che ancora si oppongono ad esso. La logica di questa dinamica cerca di imporre una sola ed unica rappresentazione, quella che riconosce come reale un'attività umana perché è meglio capitalizzata o virtualmente capitalizzabile (cfr. il “di più”, attribuito a tale o talaltro prodotto o servizio). L'unico modo di riuscirvi consiste nel sopprimere la necessità stessa di rappresentare — la vita, il mondo, l'uomo, il tempo — fornendo immediatamente la presenza reificata, astratta e totalitaria dei “mondi virtuali” e delle loro costruzioni di immagini.